Nella produzione artistica di luciano Paganelli il ritratto occupa una posizione decisamente originale. Infatti, a differenza di quanto accade per altri suoi statuti dove vige il criterio dell'estrema cristallizzazione della forma rappresentata, il ritratto sembra essere luogo di accadimenti continui, nulla sembra essere immutabile, tutto pare attraversato da un moto di inquietudine e senso di forte provvisorietà. Ma stanno proprio così le cose? A domanda, Luciano conferma e rilancia la mia suggestione, aggiungendo che per lui il ritratto è un vero e proprio laboratorio artistico, cantiere sempre aperto, in cui un volto si manifesta come pluralità di sguardi che superano necessariamente il presente storico della sua rappresentazione. In altri termini, a suo dire, in un ritratto deve potersi rinvenire la natura composita dell'espressione che ne caratterizza il volto, ovvero il prima e il dopo di quell'espressione, ciò che l'ha determinata e ciò che la muterà in seguito.
Ma un ritratto può non essere fatto solo dell'ovale di un viso, altri elementi, volendo, concorrono a definirlo. E su questi elementi Luciano spinge alle estreme conseguenze la dimensione metamorfica e movimentista della sua figurazione. Mani con dita incredibilmente lunghe si stendono sul petto e sulle spalle come fossero scialli mossi dal vento, le capigliature spesso alludono a una massa di pensieri in procinto di staccarsi dal corpo, piuttosto che di capelli che segnano i contorni di fronte e tempie, i corpi quasi mai frontali, sono preferibilmente di tre quarti, segno inequivocabile di voler creare un maggiore effetto dinamico dell'insieme pittorico. In alcune tele, è il ritratto nel suo complesso a subire una ulteriore variazione sul tema. Il soggetto è dipinto a mò di busto o mezzo busto, quindi senza braccia e fianchi, sotto forma di scultura che poggia sul cosiddetto plinto. Qui è evidente l'intenzione dell'artista di far emergere l'antinomia concettuale, ancora prima che fisica, tra solidità e funzione portante del basamento – forse una metafora della ragione che tiene l'individuo ben piantato a terra? - e volatilità, instabilità dei sentimenti, che non tollerano costrizioni per potersi esprimere pienamente
Al di là dei simboli, delle immagini utilizzate, c'è, in tutto questo, una profonda fisiologia dello spirito, nel senso che i tratti fisici dei soggetti raffigurati si intrecciano e si accordano con quelli psicologici ed emotivi che ne definiscono le azioni, pur non equilibrandosi sempre tra loro. E il motivo è semplice. Dall'uomo sgorga comunque qualcosa che lo trascende, che lo supera, un lievito, una scintilla, detto più laicamente, un sussulto che non scaturisce necessariamente dal suo agire o pensare, non un suo prodotto, ma qualcosa già presente in lui eppure da lui indipendente. Un'ultima considerazione. Se una ricerca di tipo interiore è certamente necessaria per ciascuno di noi, secondo possibilità e strumenti culturali di cui disponiamo, per un artista è un impegno preso non solo con se stesso ma anche con chi si avvicini alle sue opere. Netto e senza pause.
A mio avviso, Luciano ha il merito di non venire mai meno a quest'impegno, guardando i suoi quadri non si può non apprezzare il rigore intellettuale che ne puntella l'azione, portato avanti negli anni con scrupolo da pittore consumato e l'entusiasmo dell'esordiente. Ogni occasione è buona per dare sfogo alla creatività, ogni occasione fornita alla creatività è uno sguardo in più sulle cose che l'uomo si concede. In realtà una lezione valida per tutti, non solo per gli artisti.
Domenico Settevendemmie