La freddezza emozionale del pigmento declinato mediante infinite
sfumature dell’azzurro, la rappresentazione analitica del soggetto, ottenuta
con la moltiplicazione dei punti di vista, si contrappongono all’erotica
dolcezza di Psiche colta in un attimo di estremo abbandono. Il polittico di
Luciano Paganelli diviene così il luogo dello spaesamento, dell’inciampo
visivo, dell’emozione, che incanta e procura sommovimenti interiori in chi
guarda: aspetti propri dell’arte e della pittura.
Apuleio (letterato latino del II secolo d. C.) nelle Metamorfosi scrive di Amore e della
bellissima Psiche, di Venere e delle sue gelosie, trattando tematiche senza
tempo e mettendo in scena l’allegoria dello scontro fra ciò che è razionale e
ciò che è istintivo, fra intelletto e cuore. Psiche, costretta da Venere a
superare innumerevoli prove di ritorno dagli inferi aprendo la pisside colma di
“sonno”, affidatale da Proserpina, cadde in un immenso torpore.
Paganelli in modo maturo e consapevole, perseguendo la sua lunga
indagine sulla figura umana e sul Mito (ricordiamo gli studi dei gessi
all’Accademia di Belle Arti di Ravenna, il periodo in cui si dedica a ritrarre
gli anziani, sulla scorta del suo maestro Luciano Caldari e in seguito le opere Laocoonte, Divina Indifferenza, Nike di
Samotracia, Venere Italica, Ratto di Proserpina, Achille Morente, Orante, solo per citarne alcune), sfidando l’ortodossia culturale degli ultimi decenni
che ha imposto solo deserti pseudo-concettuali divenuti fortemente accademici,
riconduce l’atto del dipingere verso il vero saper fare e dove l’aspetto
intellettuale e culturale sta nel collocare la pittura e l’estetica in ambiti
in cui l’etica non è un episodio marginale ma è al centro del discorso.
L’artista si avvale degli strumenti propri della disciplina pittorica:
chiaroscuro per costruire i volumi e dare corporeità all’immagine, prospettiva
per inserire la figura nello spazio, ragione e sentimento per agganciare
l’oggetto al nostro tempo. Il pittore, apportando alcune significative
modifiche alla sublime
Psiche del 1822 dello scultore purista Pietro Tenerani (rimozione dell’ampolla
e delle ali della fanciulla, resa più sintetica e meno naturalistica delle
rocce, leggere deformazioni alla figura), si appropria di un momento
particolare del Mito, quello del profondissimo abbandono, divenendone esso
stesso un nuovo e moderno interprete. Mai come oggi appare attuale,
adeguata ed opportuna la scelta che l’artista compie indagando Psiche dormiente.
Troppo facile citare Il sonno della
ragione genera mostri dello spagnolo Francisco Goya molto caro a Paganelli.
Non dimentichiamo che la psiche nella psicologia moderna è considerata come
l’insieme delle funzioni e dei processi capaci di dare all’uomo la consapevolezza
di sé e del mondo.
Risulta evidente la stretta analogia con aspetti del nostro tempo in cui guerre diffuse, transumanze di popoli, pianeta sofferente, vuoto ideologico e filosofico fanno da sfondo ad un’umanità anestetizzata che procede traballante verso un incerto futuro. Una tecnica sempre più invadente, trasformando il reale in virtuale, sconvolge le relazioni fra gli uomini.
L’essere soli,
accompagnati unicamente dal proprio dispositivo elettronico, in un mondo di
connessioni totali è il paradosso in cui viviamo. Alla smaterializzazione, ad
un mondo troppo fluido e sdrucciolevole Paganelli oppone solide figure fatte di
puro colore e un fermo pensiero. Non aneddotiche e consumate vicende storiche
di vincitori, ma la semplice figura umana trasfigurata dalla pietra. Non
l’esaltazione di epici racconti, ma la splendida creatura dipinta fatta di
chiarissimi azzurri e non di urlati pigmenti. Lo sfondo monocromo pone il
soggetto dell’opera fuori dal tempo e dallo spazio immergendolo in un universo
senza geografia e senza storia: è una dimensione straniante, un eterno
presente, nel quale l’essere umano privo di punti cardinali, quale esule in
patria, è costretto a dimorare.
Dalla crisi dell’oggetto artistico legato al concettuale al moderno
polittico di Paganelli: è un vero e proprio imbuto ottico, una macchina scenica
capace di catturare lo sguardo e traslarlo in una dimensione dove abita la
ritrovata moderna armonia, quale cifra necessaria all’oggi. Materiali e
linguaggi diversi fra loro desunti direttamente dall’Arte, dalla Storia e dalla
Geometria si incontrano per invertire la rotta alla ricerca di nuovi approdi.
Le tre viste frontali rispettano lo sviluppo del parallelepipedo,
mentre quelle dall’alto e da tergo trasgrediscono la regola, (e generano modi
propri di rappresentazione che sono più il frutto di azioni artistiche che di
rigore procedurale), riaffermando in questo modo ancora una volta la dualità
dell’opera e il giusto rapporto fra ragione e sentimento.
Perdersi lasciandosi ammaliare dall’opera, dal suo potenziale sensuale
origina emozioni profonde che emergono da ignoti abissali meandri. Liberare
emozioni, stupire, incantare sono misteri propri della pittura e della vera
arte, nella consapevolezza che la vertigine della passione priva di razionalità
e coscienza provoca mostri.
Paolo Degli Angeli